Vesti di lusso per feste e tornei nella seconda metà del Quattrocento

ARTICOLO A CURA DI PAOLA FABBRI

L’abito non fa il monaco, sarà anche vero, ma sicuramente fa anzi faceva il detentore del potere, un inequivocabile segno della classe sociale al quale si apparteneva. Si dovevano indossare abiti adeguati al proprio rango. Quale occasione migliore di un torneo o un qualsiasi festeggiamento per sfoggiare il lusso e dimostrare la magnificenza propria e del proprio casato; l’ostentazione del potere accompagnata dal bisogno della sua conferma. Leggendo le descrizioni delle feste scritte dai cronisti dell’epoca, possiamo farci un’idea della sfarzosità dei signori del tempo, dei loro cortigiani e dei loro famigli.

La grande quantità di documentazione inerente alle vesti ci fornisce informazioni riguardanti il gusto delle corti italiane e le preferenze dei signori.

La corte sforzesca di Milano era senza dubbio uno degli esempi di maggior splendore. Nella seconda metà del Quattrocento soprattutto negli ultimi decenni, l’Italia detta legge in fatto di moda, grazie a donne di spicco come Isabella d’Este Gonzaga Marchesana di Mantova, e la sorella Beatrice d’Este Sforza duchessa di Milano, quest’ultima fu elogiata dal Muralto come “Novartun vestitum inventrix” (1).

Dall’Europa si guarda alla corte milanese non solo per la raffinatezza delle arti, ma anche per l’eleganza del vestire; alla fine del secolo in un’età d’oro della civiltà italiana in cui l’arte raggiunge altezze insuperate, anche il vestiario assume forme di sempre più varia e composta eleganza; la diffusione del lusso incrementa l’attività artigianale e commerciale favorendo così lo sviluppo economico.


A Milano la ricchezza degli abiti raggiunge l’apogeo al tempo di Ludovico il Moro: “La corte de li nostri principi era illustrisima, piena di nuove fogge, abiti ed delicie, et questo illustre stato, era costituito in tanta gloria, pompa et richezza, che impossibile pareva più alto attingere” (2). Galeazzo Maria Sforza non perdeva occasione per ostentare sfarzo pomposo perché “…haveva caro se potesse dire con il vero che la sua corte fusse una delle più risplendenti dell’universo” (3). Dal diario di Cicco Simonetta ci giungono le descrizioni delle vesti indossate dal Duca nell’ottobre del 1473, quando andò a incontrare a Treviri, l’imperatore Federico III. Fra queste, due sono di spicco essendo in funzione di dignità ducale. Nel quarto giorno Galeazzo si presentava “…vestito in habito ducale, cioè de una turcha de zetonino negro argentato et di sopra uno mantello de drapo d’oro con uno capuzo fodrato de ermellini, ad modo de una cappa de cardinale, et suso il bonetto, uno digno zaphyro et uno digno ballasso con diamante et una perla grossa… L’ocatvo dì de l’intrata… el duca era vestito de tre veste: la prima una mantellina, la secunda supra pur mantello d’oro in habito ducale, la terza ad modo regale” (4). La turca era una sopravveste lunga fino ai piedi, completamente aperta davanti, con maniche lunghe e strette, di ascendenza mediorientale.

Ludovico il Moro usa lo sfarzo come arte politica. Alle nozze, per procura di Galeazzo Maria con Bona di Savoia, trionfa ricoperto di panno d’oro, che sfoggerà anche alle proprie nozze con Beatrice d’Este. Anche la sposa, Bona di Savoia sfoggia grande eleganza, descritta da Tristano Sforza, in una lettera inviata al fratello, lo sposo, Galeazzo Maria “Essa Madamisella era vestita in habito regale, cioè de uno damaschino bianco d’oro, la corona regale in testa con li capelli sparsi, come se costuma a quelli de casa reale” (5). Bona era la cognata del re di Francia.

Le cronache milanesi che si preoccupavano di descrivere con dovizia di particolari e ammirazione (forse forzata) le cerimonie della città, ci forniscono interessanti informazioni riguardo le vesti di Ludovico. Appare maestoso nella “vesta de bellissimo drappo doro fodrata de heremlino, aperta da un lato che ci menava coda due palmi e havea uno balaso belissimo cum una perla belissima et grossa in una cadenella doro al collo e in la beretta haveva uno belissimo diamante cum un'altra grossa perla” Così lo descrive Giacomo Trotti, agente del Duca di Ferrara, nel giorno in cui Ludovico ricevette un’ambasceria genovese. In conclusione alla descrizione ricca di superlativi, aggiunge che “…Pareva un angelo del paradiso” (6). Il magnifico guardaroba del Moro è caratterizzato da una grande fantasia di imprese arricchite con motti creati da lui stesso e realizzate con ricami e pietre preziose, con cui fa decorare i suoi indumenti. Una delle imprese sforzesche più note è quella della colombina. Per le nozze di Ludovico e Beatrice, nel 1491, si tenne un torneo, vi parteciparono personaggi di spicco, il marchese di Mantova, al suo seguito cavalieri vestiti di velluto verde, Annibale Bentivoglio con al seguito 12 scudieri con farsetti di raso verde. Un cronista, Tristano Calco, descrive le dame con vesti pompose, eleganti e lunghe che le obbligano a ballare con grazia e lentezza “modice venuste” (7).

Il massimo del lusso a Milano fu raggiunto per le nozze di Bianca Maria (nipote di Ludovico) con l’imperatore Massimiliano I d’Asburgo. Ludovico doveva dimostrarsi all’altezza dell’illustre parente. Bianca Maria arrivò alla cattedrale su di un carro di trionfo trainato da quattro cavalli bianchi. “Haveva la ser.ma Regina una veste de raso cremesino, recamata richissimamente a razi d’oro, cum lo burbo pieno de zoye, et la coda longissima, et le maniche facete a guarnazono in modo che parevano doe ale, che era uno bello videre, haveva in testa uno ornamento de belissimi diamantie perle” questo è quanto scrive Beatrice alla sorella Isabella; e continua “Sedeva la ser. ma Regina in mezo al carro, la ILL. Duchessa Isabella da un canto a mano dritta, et io dall’altro a mano sinistra. Isabella aveva indosso, una camora de raso cremesino cum cordoni d’oro filato… come stanno li miei che ho ad una camora de panno beretino, et io teneva indosso una camora de veluto morello, cum la balzana del passo cum li vinicij d’oro masizo, smaltato la mestura de bianco et li vincij de verde, come vole la raxone, et la camora aveva alchuni sguinzi fodrati de tela d’oro et haveva sopra uno cordone de S.to Franciscode perle grosse, et in fondo in loco del botone, haveva uno bello balasso senza foglia” (8).

Anche le Duchesse non perdevano occasione per dare sfoggio al lusso, tanto che lo sfarzo di Beatrice d’Este, costa alla Duchessa un severo giudizio del Giovio che la definisce “donna di superbia et grandissima pompa” (9).

Beatrice non si limita allo sfoggio di vesti sontuose, ma ne crea con grande inventiva personale. Questo testimonia l’orientamento individualista dell’umanesimo, voglia di innovazioni in ogni settore e tendenza a dare risalto alla personalità umana. In tutto questo, la duchessa trova anche l’approvazione del marito che in una lettera descrive simpaticamente la moglie che con passione dedica un’intera notte lavorando assiduamente “como una vecchietta per terminare delle vesti alla turchesca… de la quale fogia è stata autore la prefata mia consorte ed essendole queste uscite cum gratia, cusì ne ho preso incredibile delectatione” (10). “Qui pareva di vedere una sacrestia apparata di piviali, come dixe Madama” esordisce Bernardino Prosperi in una lettera a Isabella d’Este Gonzaga, dopo essere stato ammesso con la madre di Beatrice, a Vigevano ad ammirare il guardaroba della Duchessa. La stessa Isabella era ammirata per la sua eleganza, pertanto mette grande impegno per tenere sotto controllo la giovane sorella Beatrice. Uno dei suoi informatori è proprio Bernardino che il 6 marzo 1493 le invia una lettera con la descrizione di una delle vesti, “Una vesta se ha facta vostra sorella che è de liste de tela doro, tirata alla traversa della veste, et uno veluto cremesino, et supra il veluto cremesino ha facto una zellosia a mandoli d’argento filato, et poi quando è alla fina della zelosia del velluto se hanno lassato pendere quele file d’argento lunghe suso le liste della tela d’oro a mo’ chel gè de grandissima gratia” (11).

Queste vesti indossate in occasione del carnevale, probabilmente sono quelle riprodotte sulla sua tomba alla Certosa di Pavia, i particolari descritti dal Prosperi sembrerebbero corrispondere alla scultura del Solaroli. Beatrice morì molto giovane.

La sorella Isabella, Marchesa di Mantova, ha la stessa passione per le cose belle di Beatrice ma non gli stessi mezzi tuttavia a costo di fare dei debiti cerca di non essere da meno della sorella, di cui ammira il gusto raffinato e qualche volta le chiede in prestito qualche pezzo per farne fare uno simile.

L’eleganza era di famiglia, anche la madre Eleonora d’Aragona era stata ammirata per l’eleganza dei suoi abiti. Incantò Sigismondo d’Este futuro cognato accogliendolo nella sua città nel maggio del 1473 “Ornata de una corona doro fornita de perle e zoie e abbraciandolo cum tanta gentilezza e cum tanta degna maniera che molte persone indusse de tenerezza a lacrimare” (12). Al ballo dato per festeggiare il consenso alle nozze, che celebrò per procura Sigismondo, si presentò con “una veste de panno doro caudata fuorsi octo braccia” (13). La veste in questione doveva avere uno strascico lungo più o meno quattro metri e ottanta centimetri.

Destò grande ammirazione anche quando fece il suo primo ingresso a Ferrara “suxo uno cavalo bianco, vestita de drapo de horo ala napulitana, con li chapili zoxo per le spale et una corona preciosissima in capo” (14). Il corteo nuziale partì da Napoli il 24 maggio 1473, giunse a Roma il 5 giugno, dove trovò grandiose accoglienze e arrivò a Ferrara il 3 luglio.

Nelle corti di centri minori, come Urbino, le fogge erano un po’ arretrate rispetto a quelle di Milano, Napoli e Venezia, mantenendo comunque un gusto raffinato.


NOTE

1) F. Muralto, Annalia, cap.IX, in Magenta, I Visconti e gli Sforza nel Castello di Pavia, Milano 1833, vol. I, p.552.
2-3 ) B. Corio, Patria historia, Milano,1503; Storia di Milano, ed.1857, vol. III, p.456 e p, 314
4) I diari di Cicco Simonetta a cura di A.R. Natale in Archivio Storico Lombardo, serie VIII, vol. II, a. 1950, p.171
5) C. Cantù, Nozze di Bona di Savoia Sforza e lettere di Tristano e Galeazzo Maria Sforza in Archivio Storico lombardo, anno II, 1875, p.179
6) Archivio di Stato di Modena, Cancelleria ducale, Carteggio degli ambasciatori e agenti estensi in Milano, busta n. 5 in F. Malaguzzi Valeri, LA corte di Ludovico il Moro cit., p. 314
7) P. Verri, Storia di Milano, cit., tomo II, p. 75
8) Lettere di Beatrice d’Este ad Isabella in data 28 dicembre 1493 in A. Luzio-R. Renier, Delle relazioni di Isabella d’Este Gonzaga con Ludovico e Beatrice Sforza cit., p. 385 e sgg.
9) P. Giovio, Istoria del suo tempo, trad. Domenichini, Venezia 1608, p.11. In R. Levi Psetzky, Storia del costume in Italia, vol. II, p. 431, Treccani ed.
10) A. Luzio-R. Renier, Delle relazioni di Isabella d’Este Gonzaga con Ludovico il Moro e Beatrice Sforza cit., p. 114
11) cFr. R. Levi Pisetzky, L’apogeo dell’eleganza milanese c06VIII, p. it., in Storia di Milano, vol. VIII, p. 706.
12) L. Olivi, Le nozze di Ercole I d’Este con Eleonora d’Aragona, Modena 1887.
13) R. Levi Pisetzky, Storia del costume in Italia, vol. II, p. 435.
14) Hondedio di Vitale, Cronaca (Biblioteca Ariostea, Ferrara, Coll. Antonelli, Ms. 257), c. 18v.

 

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